venerdì 11 maggio 2012

Il giudizio, L'empatia, Il suicidio


La maggior parte di noi sviluppa un principio di realtà (da non intendersi in termini Freudiani) in base alle proprie esperienze quotidiane e vive in uno stato razionale o quantomeno in una via di mezzo tra razionalità e credenza, quello che Comte definiva come stato metafisico.
Questo modello di vita ci porta a giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato secondo il nostro principio di coerenza, secondo i nostri orientamenti e le nostre credenze e siamo fisiologicamente portati ad estendere il nostro giudizio a tutto ciò che ci circonda.
Una delle cose più destabilizzanti della psicoterapia è che porta inequivocabilmente alla rottura di questi schemi acquisiti. Acquisire empatia tramite la terapia significa non potere più tracciare una linea netta di giudizio e veder crollare certe categorie, certi strumenti evoluzionistici che ci sono rimasti: i pre-giudizi.
La maggior parte delle nostre (intendo vostre!) analisi si basa su cose che non conosciamo appieno, la nostra esistenza si basa su shortcuts per poter avere in tempi rapidi una risposta, e potete considerarvi già fenomenali se provate a entrare nella testa delle poche persone a cui tenete, certe persone, la maggior parte, non credo ci abbia mai neanche provato.
Belen è una troia, J.Bieber non è un'artista, gli Obesi sono degli sfigati (beh, questa è vera!)
Non è una critica alla nostra natura sia chiaro, e nessuno vuole che proviamo dispiacere per la presunta gravidanza interrotta della farfallina.



Però questa incredibile capacità, almeno per le persone a cui teniamo, ci permette di capire profondamente l'altro e spesso di giustificarlo il molte situazioni. Mi sono chiesto un milione di volte dove finisca la malattia e cominci il libero arbitrio, quando la colpa è dell'individuo e quando è colpa del contesto, fino a che punto è colpa di qualcuno e non delle sue sfighe?
E' difficile stabilirlo e la nostra voglia di semplificazione vuole sapere se uno è innocente o colpevole.

Purtroppo è tutto terribilmente più complesso.
Quando ero giovane giudicavo i suicidi dei vigliacchi. Ecco. Ricordo quanto fosse facile argomentare su Kurt Cobain infierendo sul suo stato di smidollato.
Ma non è possibile analizzare un comportamento irrazionale con strumenti razionali. 





Il Cev è morto. Perché? Cosa gli mancava? Il suicidio, se si hanno persone care, è sempre egoistico? Forse, ma credete che in quegli istanti si possa davvero comprendere la portata del proprio atto,  astrarsi e capire il dolore che si lascerà nei vivi?
C'è stato un solo giorno nella mia intera vita in cui ho capito perfettamente perché le persone a cui "non manca nulla" si buttano giù dal terrazzo.
Era una domenica del 2004, uno degli anni più sereni della mia vita sulla carta eppure ricordo con assoluta lucidità il fatto che guardare la tv o buttarmi giù dal balcone non avrebbe fatto alcuna differenza in quel momento.
Non sentivo nulla. Nulla. E' impressionante e spaventoso ma era così e non ho dubbi su cosa sentissi in quel momento.
Ho vissuto un giorno così, e credo persolamente di non aver rischiato granché, ma se quel non sentire fosse durato per una settimana, un mese, un anno?
Non sono un sopravvissuto, un depresso che l'ha scampata per un pelo.
Mi pensai spiaccicato sull'asfalto, immaginando la famiglia e gli amici distrutti dal dolore. Interessante, ma ricordo bene come l'idea non suscitasse in me la benché minima reazione emotiva.
Vorrei essere uno scrittore per descrivervi bene il vuoto assoluto.
Comprendere la disperazione di un povero cristo col fucile in bocca davanti ad equitalia è facilissimo, comprendere razionalmente la profondità dell'incosncio e come la depressione possa distruggere tutto come il peggior parassaita è del tutto inutile, è come applicare la logica per confutare l'esistena di Dio.


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