Ora, senza affossare la comprensione del mondo ad un totale disarmante e assoluto relativismo, mi chiedo se davvero si possa parlare della stessa cosa pensando pure di essere capiti.
Più semplicemente mi chiedo quanto gli strumenti e le sensibilità personali possano modificare a priori il giudizio e la comprensione di un'opera d'arte.
Ancor più semplicemente, a prescindere che possa esser piaciuto o meno a volte uno ha la sensazione di non aver capito un cazzo, o di non aver gli strumenti per capire a fondo, o aver la sensazione che quell'opera non è per lui, o che semplicemente quell'opera è un esercizio di stile di compiacimento da parte dell'autore.
Non è il caso specifico di tutto quanto sopra, ma guardando "La Grande Bellezza" il concetto di relativismo è alquanto spiazzante, soprattutto se si va a leggere qui cercando di capire meglio.
La Grande Bellezza è la sintomatica conferma, e
cristallizzazione, di una “tendenza” incapace oramai di occultare
un’assenza di sguardo, di prospettive, non solo di risposte ma di
domande.
Potremmo chiamare questa tendenza “barocchesco”: un profluvio di
movimenti di macchina e di effetti senza affetti, un bozzettismo
avvilente, un grottesco che ottunde le asperità invece di potenziarle[...]
[...]Ciò che annichilisce di questa Grande Bellezza è
proprio la patologica ingenuità del suo autore, un’ingenuità che
tuttavia è raggelante ma certo non sorprendente, essendo Sorrentino un
reciDivo. Gli slanci prometeici si risolvono in cadute clamorose e
rovinose: un fuoco (fatuo) di fila di sequenze che si vorrebbero
esemplari ma che restano alla “superficie del superficiale”
Oltre ad essere irritante e compiaciuto ai limiti dell’onanismo nella messa in scena del “dentro”, La Grande Bellezza
delude anche come traversata della città eterna: una stucchevole
“passeggiata” che si vorrebbe felliniana, ma che al massimo sarà
ricordata come una versione intra muros del Granderaccordoanulare di guzzantiana memoria.[...]
Nessun commento:
Posta un commento